Nel caso in cui il conduttore versa un canone superiore all’importo originariamente pattuito, da quale momento decorre il termine semestrale entro il quale può chiedere la restituzione della somma? Vediamo come risolve la questione la Corte di Cassazione.

La vicenda. Il locatore di un immobile cita in giudizio il conduttore esponendo di avergli concesso in locazione un locale ad uso commerciale nel 2000 per un importo mensile di 516 euro del canone di locazione.

Nel 2004, però, tramite una serie di raggiri le parti, convenzionalmente, pattuiscono un aumento del canone mensile del medesimo immobile a mille euro.

Il locatore, inoltre, nel 2008 convince il conduttore a sottoscrivere una scrittura privata nell’ottobre del 2008 stabilendo la risoluzione anticipata del contratto, ed impegnandosi a rilasciare l’immobile entro il termine strettamente necessario per organizzare il trasloco.

Il conduttore, tuttavia, entro tre mesi dalla stipula della scrittura privata che aveva stabilito la risoluzione anticipata del contratto non provvedeva al rilascio dell’immobile, occupandolo senza titolo.

Il locatore, quindi, cita in giudizio il conduttore chiedendo il rilascio dei locali, nonché il pagamento di una indennità per la loro occupazione a partire dalla data della diffida fino al momento dell’effettivo rilascio, chiedendo l’importo di mille euro per ogni mese di occupazione dei locali nonché la somma di diecimila euro a titolo di risarcimento per gli ulteriori danni subiti.

Il conduttore si costituisce chiedendo il rigetto delle richieste del locatore, nonché la restituzione delle somme indebitamente pagate rispetto all’importo originariamente pattuito nel contratto di locazione stipulato nel 1998 con la madre del locatore.

Il Tribunale, in primo grado, ha respinto le richieste del locatore, accogliendo invece la domanda riconvenzionale formulata dal conduttore di restituzione delle somme indebitamente versate condannando il locatore a restituire circa ventisettemila euro indebitamenti corrisposte dal conduttore a partire dal 2004.

La sentenza della Corte d’appello. Il locatore impugna la sentenza e la Corte d’appello, accogliendo l’appello incidentale del conduttore, condanna il locatore alla restituire al conduttore la somma di ben 57.000,00 euro a titolo di canoni corrisposti più del dovuto, somma questa pari al doppio dell’importo stabilito dalla sentenza di primo grado.

La Corte d’appello, infatti, ha accertato che il rapporto di locazione in questione era stato originariamente stipulato nel 1998 dalla madre del locatore e che all’epoca il canone di locazione era stato concordato in 500.000 lire mensili per la durata di sei anni.

Dopo la scomparsa della madre era subentrato nel contratto il figlio che aveva provveduto nel 2000 alla stipula di un nuovo contratto di locazione, della durata di sei anni, maggiorando il canone di locazione ad un milione di lire mensili.

Tenendo conto dell’evoluzione dei fatti, la Corte d’appello ha stabilito che ” negli accordi successivi a quello concluso nel 1998 fra le parti era possibile apprezzare la sostanziale identità del bene locato, nonché la disciplina contrattuale, riguardando i mutamenti unicamente la misura del canone e la data di scadenza del contratto, elementi che alla luce dei precedenti giurisprudenziali consolidati non permettevano di apprezzare la sussistenza di una volontà novativa, essendo invece prevalente l’intento di addivenire ad un incremento del canone in violazione della norma imperativa della legge n.. 392/1978 art. 79″

In buona sostanza, quindi, la Corte d’appello ha stabilito che gli aumenti del canone contenuti nei contratti successivi al primo (stipulato nel 1998) fossero nulli conformemente al principio sancito dal primo comma dell’art. 79 della legge 392/1978 che così recita”È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge”, condannando il locatore a restituire gli importi indebitamente percepiti a titolo di canone di locazione, corrispondente alla parte eccedente rispetto al canone pattuito nel primo contratto stipulato nel 1998.

Il ricorso in Cassazione. Il locatore ricorre in Cassazione sostenendo che la Corte d’appello ha accolto la domanda di ripetizione dell’indebito formulata dal conduttore senza verificare se i pagamenti furono effettuati a titolo di canoni di locazione, ribadendo che la stessa domanda non avrebbe mai potuto trovare accoglimento in quanto le parti avevano pattuito un aumento del canone di locazione in ragione di una modifica dell’oggetto della locazione.

Il ricorrente ha censurato, inoltre, la sentenza di secondo grado nella parte in cui la stessa aveva stabilito che il “termine di decadenza per ottenere la restituzione dei canoni pagati in più decorresse dalla riconsegna dell’immobile e non dalla risoluzione del contratto”.

La decisione della Cassazione ed i precedenti giurisprudenziali. La terza sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del locatore, confermando la sentenza impugnata e condividendo l’impostazione seguita dalla Corte d’appello assolutamente conforme all’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità.(Cass. sez. civ. III, 16.10.2017 n. 24279)

Infatti, riguardo al momento da cui decorre il termine semestrale entro il quale il conduttore può chiedere al locatore la restituzione di somme indebitamente percepite, la giurisprudenza ha già osservato che la domanda di restituzione delle somme pagate in eccedenza rispetto al canone previsto dalla legge 27 luglio 1978 n. 392 “decorre dalla materiale riconsegna dell’immobile oggetto del contratto – la quale coincide con la data in cui il bene viene posto nell’effettiva disponibilità del locatore- e non dalla cessazione del rapporto giuridico fra le parti, irrilevante, essendo, pertanto, anche l’eventuale successione nel contratto dal lato del locatore” (Cass. 24.5.2013 n. 12994; Cass. 3.4.2009 n. 8143; Cass. 31.10.2005 n. 21113; Cass. 4.6.2003 n. 8914; Cass. 1.8.2000 n. 10044; Cass. 27.10.1995 n. 11185)

A proposito di successione nel contratto di locazione e di novazione oggettiva del contratto la Cassazione con la sentenza in commento puntualizza alcuni aspetti. Secondo gli Ermellini, la Corte d’appello aveva correttamente ritenuto che, nel caso di specie, il contratto da cui ha avuto origine la locazione è stato esclusivamente il contratto stipulato dalla madre del locatore nel 1998 con il quale le parti avevano concordato un canone mensile di 500.000 lire fissando la durata del contratto in sei anni.

I contratti successivi, stipulati fra l’erede della locatrice ed il conduttore, non presentano alcun elemento di novità idoneo a giustificare una novazione del rapporto. Proprio su tale tema si è pronunciata in modo chiaro ed univoca la giurisprudenza di legittimità evidenziando che la variazione della misura del canone o del termine di scadenza non integrano la novazione del contratto, restando tali variazioni nell’alveo delle modificazioni accessorie. (Cass. 13.6.2017 n. 14620)

Niente da fare, quindi, il locatore oltre a restituire al conduttore gli importi indebitamente percepiti, dovrà sobbarcarsi anche le spese del giudizio in Cassazione.

fonte idealista.it