Come precisato dal governo lo scorso dicembre 2017, in risposta a un’interpellanza parlamentare e richiamando la sentenza 8383/2013 della Cassazione, il criterio di calcolo della tassa sui rifiuti (Tari) per le utenze non stabilmente attive basato convenzionalmente sul numero di componenti del nucleo familiare in proporzione alla superficie dell’immobile deve essere presuntivo e non assoluto. Spetta dunque al contribuente la possibilità di dichiarare l’effettivo numero di componenti del proprio nucleo familiare.

Come sottolineato dal Sole 24 Ore, in riferimento alle abitazioni di cui non risultano esserci soggetti residenti e per le quali non è quindi possibile stabilire il numero dei componenti del nucleo familiare, la Corte di Cassazione aveva evidenziato che il Comune può stabilire un criterio presuntivo, in alternativo a quello dettato dal riferimento alla residenza.

Tale criterio presuntivo, però, non deve essere inteso nella sua assolutezza, ma in relazione all’implicita finalità di ancorare la quota variabile della tariffa al numero presunto di occupanti, solo laddove quest’ultimo non si possa evincere sulla base di criterio di residenza.

I Comuni, di fatto, non possono introdurre presunzioni assolute sul numero dei componenti, poiché questa è materia appartenente alla fattispecie immobiliare e quindi riservata al legislatore. Le amministrazioni possono solo indicare nel regolamento dei criteri orientativi di prima attribuzione delle utenze domestiche dei non residenti.

Nel prototipo del “Regolamento per l’istituzione e l’applicazione della Tares” – i cui principi possono essere applicati anche alla Tari – viene inoltre precisato che, nel caso in cui il Comune abbia adottato un criterio alternativo a quello della residenza , “resta ferma la possibilità per il Comune di applicare, in sede di accertamento, il dato superiore emergente dalle risultanza anagrafiche del comune di residenza” (articolo 17, comma 3), ma non anche il dato “inferiore”.

Peraltro, una maggiore tassazione dell’utenza domestica “stagionale” sarebbe non solo irrazionale, ma contraria alla ratio del tributo, che prevede la possibilità di introdurre agevolazioni per le “abitazioni teneute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo” (articolo 1, comma 659, legge 147/2013).

Con la sentenza 4223 del 6 settembre 2017, sulla questione è intervenuto anche il Consiglio di Stato ritenendo illegittimo un regolamento comunale che fissava tariffe più alte per le utenze domestiche dei non residenti.

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Tari sulle seconde case? L’Esperto risponde: «Si calcola sugli occupanti presunti» (Il sole 24 ore)